la biennale di venezia 2009
Orchestra J Futura
Teatro alle Tese, Venezia 25 - 09 - 2009

 

di Gabriele FRANCIONI

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30/30

Prima di arrivare all’altro climax della serata - musicisti che tentano di suonare un’ automobile e possibilmente diventarne parte (perfettamente coerenti con l’approccio concettualmente ribaltato di “Robotic Music”) - la seconda parte del programma ci fa sostare entro l’ atemporalità di composizioni scritte in epoche lontanissime tra loro.

Il trascorrere inesausto da un secolo e da un decennio all' altro, esprime al meglio la straordinaria modernità di Edgar Varèse (rispetto al programma di sala ascoltiamo “Hyperprism” del 1923 prima di “Integrales”,1925) e Antheil (“Ballet Mecanique, 1953), stretti tra due composizioni di nostri contemporanei, presenti in sala.

 

A. L'inizio - “Rituel Bizzarre”, di Ansgar Beste (2008-09) - meraviglioso, è tutto costruito sui pizzicati e le corde sorde, stoppate, mute ma assolutamente espressive, di violini, viole e contrabbassi, questi ultimi vero cuore pulsante della scrittura compositiva. Nell’avvicinarci a un rumore “puro” - quindi perfettamente coerente con Varèse - anche se prodotto da strumenti tradizionali (orchestra di 15 archi preparati), ci accorgiamo della qualità organica e primordiale del risultato complessivo. Ancora una volta, quindi, nessun sentore di Futuro che non trattenga un ché di fisico, corporeo, quasi animalesco al proprio interno.

 

Qua e là, sembra di cogliere citazioni contenute in segmenti di durata infinitesimale - ad esempio l'incipit della SAGRA - o micro-suggestioni bartokiane, che sono leggere e giocose, come teste che emergono per un attimo dal magma ininterrotto di questi dodici minuti (!) vissuti nell’ascolto intenso di una materia sonora che sembrerebbe impossibile contenere in un tempo così breve.

Non ci sono, ovviamente, “temi” leggibili, frasi o altro, ma un continuum che solo verso la fine sembra trattenersi in una breve pausa

che anticipa il fragore conclusivo, arricchito da note altissime dei violini.

Nel pre-finale, i violinisti avevano utilizzato, invece dell’ archetto, una specie di rettangolo (in legno?) per irrobustire il suono prodotto dallo strumento.

 

Maurizio Dini Ciacci regala alla platea una lettura limpida, chiarissima di un’ opera presentata in prima assoluta e di non semplice interpretazione, durante la quale nessun arco ha un ruolo secondario né momenti di rilassamento: ciò implica una tensione e una concentrazione senza pause.

 

Cambio di organico e scenografica entrata delle percussioni: anche queste pause, piene di macchine e oggetti che arricchiscono la scena, contribuiscono a definire l’ appeal futurista di “ENTRANCE_02”.

 

B. Il “bruciante desiderio di oltrepassare i limiti” di Edgar Varèse produsse HYPERPRISM nel 1923 e il relativo scandalo che suscitò a New York la sua prima esecuzione.

Oggi i “folli” 3-minuti-3 della composizione dell’allievo di Strauss/Busoni/Debussy, trasposizione in musica dell’effetto di un prisma su di un fascio luminoso, sono stati digeriti da intere generazioni di musicisti, musicologi, critici e semplici appassionati, ma i nove (!) percussionisti - che probabilmente nel ’23  dovettero sembrare un vero e proprio plotone d’esecuzione alla prémiere newyorchese - fanno ancora un effetto impressionante.

L’invisibile barriera sonora che costruiscono fin dalle primissime battute è quanto di più rivoluzionario abbia prodotto il secolo scorso.

Il compositore francoamericano provò a raggiungere con HYPERPRISM l’effetto di diffrazione della luce/suono cui si accennava dividendone i componenti: attacchi, risonanze, intensità, frequenze, durate.

Uno degli esiti è l’incipit eretico con brasses & percussions a dettare le prime note al posto degli archi.

Come spesso accade per un prodotto comunque appartenente alla categoria del vintage, invece, il massimo della provocazione - ovvero la sirena - sembra un po’ datato.

Non c’è però tempo per pause meditative o inopportuni excursus critici: ciò che conta è che, anche grazie alla potenza esecutiva di orchestra e direttore, coesi come raramente accade, il senso di questa Biennale venga ribadito con chiarezza e apodittica definitività: trattasi di oggettività del suono scarnificato, quasi trouvé sulla scena, come residuale object  duchampiano di un tempo assoluto, slegato da Passato/ Presente/ Futuro.  

 

C. Altro cambio di formazione: scendiamo a quattro soli percussionisti ed entriamo in INTEGRALES.

Anche se non c’è ancora l’approccio radicale di IONISATION, la frase musicale è già totalmente messa in crisi. 

Per un autore secondo il quale "quando la melodia predomina, la musica diventa soporifera", è naturale destrutturare la tradizionale impostazione compositiva a partire dalla linea melodica, che lascia il posto semmai a una serie di temi polilineari impossibili da cogliere nella loro autonomia (che in pratica non esiste).

L’oggettività di INTEGRALES sta, com’è ovvio, nel trionfo del timbro e nel porsi contro la proliferazione di elementi extra-musicali.

Dini Ciacci e i suoi orchestrali sono impegnati a restituirci al meglio, e con rinnovato furore neo-futurista, il “come” e non il “cosa”.

L’organizzazione del suono, la strumentazione –“oggettive”- valgono più di ogni (soggettiva) narrazione o produzione di messaggi, appunto, extra-musicali.

Ecco allora che l’aspetto della chiarezza  e dell’ abilità strumentali risultano indispensabili per poter dirsi veri interpreti di Varèse e, nel nostro caso, siamo ad altissimi livelli esecutivi: il “come” è reso al meglio, attraverso una restituzione secca, magra (e sicura come una lama di coltello) del testo varesiano.

Corpo del suono, ancora una volta, suono puro.

SUONO, e nient’ altro.

 

Ennesimo cambio di orchestrali e strumentazione.

 

D. Veniamo travolti dal BALLET MECANIQUE di Georges Antheil, in una delle sue interpretazioni (così almeno vogliamo credere) più selvagge.

Non è la versione del 1924, ma una meno ingombrante del 1953, tra l’altro di durata assai limitata (16 minuti).

Il successo è enorme, con dieci minuti di applausi giustificati da un’ esecuzione magistrale, a prescindere dalla grandiosa difficoltà prevista dall’autore.

Il palco è invaso da oggettistica di vario tipo: quattro pianoforti, due eliche d’aereo, quattro vibrafoni, sirene, timpani, glockenspiel, comunque molto meno assortita di quella prevista dalle versioni del periodo ‘24/’27, l’ultima delle quali vide il clamoroso insuccesso newyorchese e il conseguente black-out professionale di Antheil, da cui il compositore emerse molti anni dopo.

Leggiamo vera e propria esaltazione negli occhi degli orchestrali, impegnati in un gioco ad incastro ai limiti dell’eseguibilità.

Le note trovano sede in una stagnazione in movimento e in una tensione insostenibile per chi segue.

Xilofoni e pianoforti danno vita a sequenze di note che si rincorrono, fino a raggelarsi nell’ attesa siglata da  un campanello che suona.

 

E. Dalla parentesi brutalista di Antheil si procede senza sosta verso il concerto per Porsche e orchestra di Dmitri Kourliandski, Emergency Survival Guide (2009),  commissionato dalla Biennale come quello di Ansgar Beste.

Se prima abbiamo parlato di stagnazione, qui dobbiamo rimarcare la qualità statica e anti-evolutiva di grumi sonori che semplicemente “sono”, esistono, denunciando una vitalità amorfa, laddove assimiliamo la “morphe’” a un disegno o costruzione progressiva, che abbia un prima e un dopo.

La libertà nella ricerca di una strumentazione che si prefigge di abbattere ogni frontiera è totale, assoluta.

Una Porsche rossa del 1972 è portata sul palco e scratchata come un vinile,  mentre l’orchestra non fa altro che duplicarne la risultante sonora, con gli archi impegnati in un lavoro d’invenzione acustica mai ascoltato in precedenza.

Addirittura si riesce a riprodurre  il rumore di uno pneumatico che ruota su se stesso, stridendo.

Nella seconda parte della composizione degli umani entrano nel corpo dell’auto per diventarne parte integrante. Luci accese, tergicristalli in azione e dosaggio nell’uso dell’acceleratore, anche qui perfettamente consonante rispetto a ciò che gli strumentisti producono in contemporanea.

Kourliandski un tempo sarebbe stato bruciato in piazza o avrebbe trasformato le Tese in un saloon in cui ci si azzuffa in nome dell’ Arte: il fatto che non accada è (forse) il segno che lo zeitgeist è mutato da molto più di mezzo secolo a questa parte, anche se non vorremmo che fosse anche la spia di una qualche assuefazione a ogni tipo di novita’ o barriera superata.

è importante continuare a dibattere, prendendo tremendamente sul serio ogni tipo di pro/vocazione, sia che implichi la presenza di orchestre composte da nani robotizzati o macchine sportive al centro di una serata musicale.

 

continua da SUGURU GOTO, ROBOTIC MUSIC

Orchestra J Futura
venerdì 25 settembre ore 17.00
Teatro alle Tese
Beste / Varèse / Antheil / Kourliandski
- Ansgar Beste Rituel bizarre (2008-09, 12’) per orchestra d'archi preparati, prima es. ass. (commissione La Biennale di Venezia)
- Edgar Varèse Integrales (1925, 10')
- Edgar Varèse Hyperprism (1923, 3')
- Georges Antheil Ballet mécanique (ver. 1953, 16’)
- Dmitri Kourliandski Emergency Survival Guide (2009, 15’) per automobile e orchestra, prima es. ass. (commissione La Biennale di Venezia)
direttore Maurizio Dini Ciacci
in collaborazione con Porsche Italia
con il sostegno dell’Assessorato alla Cultura della Provincia Autonoma di Trento

 

Orchestra J Futura
Teatro alle Tese, Venezia 25 - 09 - 2009