SOTTO LA SABBIA
di François Ozon
con Charlotte Rampling, Bruno Cremer, Alexandra Steward


recensione di
Elena SAN PIETRO

Nel suo terzo film, GOUTTES D'EAU SUR PIERRES BRULANTES, Ozon si era posto il problema di come separarsi da una persona che ti fa del male, ma da che è in qualche modo indispensabile (alla maniera degli Inseparabili di Cronenberg). La risposta era il suicidio, che poi spesso è una strada obbligata quando c'è troppo amore. Ed il film era un lavoro molto riuscito che si basava su un testo di Fassbinder e ne accentuava il carattere ironico e di commedia, nonostante il finale tragico (ma anche in questo caso dipende dai punti di vista dal momento che il suicida finalmente trovava la pace, cominciava ad "esistere" indipendentemente dal compagno in una morte che promette una nuova vita).
Alla sua quarta esperienza dietro la macchina da presa Ozon si pone un problema speculare: come sopravvivere alla perdita di una persona che ami e che sostiene la tua vita come il cibo che mangi o l'aria che respiri. La risposta più ragionevole agli occhi del mondo è "farsene una ragione", costruirsi una nuova vita. La risposta di Ozon è quella di tenerti accanto la persona che hai perso, evocarne l'immagine come un fantasma, una presenza amica che non ti ha mai lasciato e che continua a starti accanto nella vita di tutti i giorni.
Il tema della perdita è piuttosto ricorrente nelle pellicole di questa stagione, una per tutte LA STANZA DEL FIGLIO, dove un Moretti che è stato definito scettico e assolutamente privo di credi spirituali o metafisici, affronta la morte del figlio rimanendo lucidamente ancorato ad una realtà che va in pezzi. Marie, la protagonista di SOTTO LA SABBIA rimuove la perdita e si crea un mondo parallelo, intrecciato con la realtà, dove non c'è dolore, dove nulla è cambiato. E' una questione di carattere, o forse anche di differenti sensibilità visto che Marie è una donna. Ma è anche una questione di certezze: Marie non subisce l'inappellabile morte di un figlio, Marie un bel giorno si sveglia e non trova più suo marito Jean. Scomparso. Se è possibile, si tratta di una perdita ancora più lacerante perchè è indelebile: la speranza che sia vivo e che possa tornare diventa una tarlo che può farti impazzire, il motivo della scomparsa scatena sensi di colpa e domande che non trovano risposta. Tanto più se si tratta di una coppia come Jean e Marie, un'unione che portano avanti da venticinque anni, in perfetta armonia, serenità e comprensione reciproca. La fusione di due vite che si completano e si sostengono, un tipo di corrispondenza per cui ha ancora senso sposarsi al giorno d'oggi. La loro vita in comune è tratteggiata con semplici, ma efficaci pennellate dove s'intuisce che Jean è un po' come un grande angelo venuto dal cielo, un "pachiderma con le ali" che apre le braccia ed accoglie Marie come parte di sé. Ecco perchè la sua improvvisa sparizione è ancora più inspiegabile, una tragedia nel bel mezzo di una giornata di sole, mentre Marie si riposa su una spiaggia delle Landes con il mare che sussurra e ristora. Jean va a fare il bagno e non torna più. Per la prima volta in venticinque anni Marie si ritrova sola. Se è vero che la persona che ami diventa in qualche modo parte di te, allora non è poi così assurdo lasciare che ti accompagni, anche se non è più fisicamente al tuo fianco è dentro di te. Ma il confronto con la realtà è spesso inevitabile e anche se la donna continua a parlare del marito come se non fosse mai scomparso, non può fare a meno di chiedersi cosa si nasconda "sotto la sabbia" di una sparizione incomprensibile: suicidio, abbandono, o morte accidentale?
Il fantasma di Jean le dà la forza per continuare la vita di tutti i giorni tra il lavoro, la palestra, gli amici. Marie incontra un altro uomo con cui ha dei rapporti sessuali mentre l'ombra del marito le sorride dolcemente dalla porta. Questo triangolo surreale ricorda quello molto più reale che ha effettivamente segnato la vita di Charlotte Rampling: l'attrice conviveva con il marito e l'amante nella stessa casa, secondo un accordo di armonia ed equilibrio, ben distante dall'ipocrisia dell'opinione pubblica che l'ha aspramente criticata. E l'invidiabile forza interiore della Rampling traspare anche nel personaggio in un film che è costriuito intorno al viso della protagonista: una bellezza matura, tra le pieghe amare della bocca, i segni del tempo che è vita vissuta, gli occhi di ghiaccio (come quelli di Liv Ullmann), lo sguardo rivolto verso un orizzonte lontano che forse appartiene a un altro mondo, un aldilà ellenico pieno di ombre tanto reali quanto inafferrabili. L'Iliade ci aiuta a comprendere i meccanismi psicologici che sottendono alla perdita e alla morte: il vecchio Priamo non si dà pace finchè non ottiene il cadavere di Ettore, per averlo si spinge sino all'accampamento dei nemici e commuove Achille, baciando le stesse mani che hanno ucciso suo figlio. Solo rientrando in possesso del cadavere è possibile accettare la perdita, altrementi l'anima del defunto è condannata a vagare senza tregua fra i vivi. Come ne LA STANZA DEL FIGLIO anche il film di Ozon è caratterizzato da un mare immenso, che a volte culla, a volte inghiotte ed uccide, ma che comunque restituisce sempre i corpi. Dopo un certo tempo viene ritrovato un cadavere che potrebbe corrispondere a Jean: nonostante lo stato di avanzata putrefazione e le deformazioni che caratterizzano il corpo di un annegato, Marie insiste per vedere il corpo. Il suo orrore è concentrato negli occhi trasparenti della Rampling. Il fantasnma di Jean ora può lasciare Marie. Ma è Marie che non lascia il marito, compiendo una scelta disperata, temeraria, definitiva. Ozon ama ritornare sui luoghi e gli oggetti che hanno segnato la quotidianità della coppia: la cucina, la stanza da letto, del pane imburrato, una pentola di spaghetti. Luoghi e gesti di cui a poco a poco si appropria l¹amante di Marie per esserne infine estromesso. Alcune persone della nostra vita sono insostituibili. L'ultima scena ci riporta proprio sulla spiaggia dove è scomparso Jean, con un mare invernale che non sussurra più, ma ruggisce. Marie vede un uomo in lontananza, un uomo che forse assomiglia a Jean, e si lancia in una corsa disperata verso di lui, mentre la sabbia la trattiene e la ostacola, il film si chiude prima che la donna possa raggiungerlo. Solo per questa scena Ozon meriterebbe un premio, perché è un momento d'eccezionale forza espressiva, dove le immagini contengono tutto il significato di una scelta precisa.
SOTTO LA SABBIA non è certo un film spensierato, di sano intrattenimento o leggero (che dir si voglia) perchè colpisce al cuore, riflette la vita vera e l¹esperienza di chi ha deciso di non accettare la la fine, di una vita, dell'amore, dei sentimenti, dei sogni. Allo stesso tempo il film non rischia di essere uno dei "soliti deprimenti, incomprensibili film d¹essai", perchè la forza magnetica di un'attrice come Charlotte Rampling non ci permette di staccare un attimo lo sguardo dallo schermo. E forse anche perchè Ozon è un regista giovane ed è sicuramente una promessa del nuovo cinema francese.


IL VOTO DI KINEMATRIX: 29/30