L'APOSTOLO
di e con Robert Duvall

Parlare de L'APOSTOLO come di una novità è quantomeno una contraddizione; specie ricordando che, al momento in cui queste righe saranno pubblicate, il film avrà già compiuto i suoi quattro (!) anni di vita. Non solo: i dati che abbiamo raccolto ci informano di una versione originale di ben 135 minuti, a fronte della quale l'ora e mezza scarsa della copia da noi visionata è qualcosa di quantomeno deprimente. Una menomazione enorme - nata per garantire al film una fascia di programmazione in più - e in gran parte inutile, in quanto prodotta nel tentativo di ingraziarsi una platea verosimilmente già lontana. In Italia pochissimi hanno visto L'APOSTOLO, e quanti fra questi lo hanno fatto in ragione della sua breve durata? Crediamo di non allontanarci più di tanto dalla verità dicendo praticamente nessuno. È fuor di dubbio che, nel fare il proprio lavoro, il distributore debba ricercare un profitto, seppur minimo: è parte del gioco, ma allora perché scegliere una soluzione ibrida che non accontenta nessuno? Forse, vista la situazione, tanto valeva scegliere di non distribuirlo, poiché questo non è il film di Duvall: può casomai darne un'idea. Se un merito va attribuito alla Filmauro è quello di aver comunque dato visibilità ad un'opera non scontata, preziosa anche perché testimonianza della vena autoriale di uno dei migliori interpreti della vecchia scuola americana. THE APOSTLE è infatti il primo lungometraggio diretto da Robert Duvall - che ne è anche interprete principale nonché sceneggiatore - e il suo unico lavoro approdato in Italia.
Ci sono molti modi in cui un uomo può rivendicare per sé un ruolo nel mondo che abita e nella vita di tutti i suoi giorni: Eullis "Sonny" Dewey ha scelto, con una forte volontà, di predicare il verbo di Dio - la legge di Dio - di portarlo dove manca, quando serve, anche senza richiesta o contro la legge degli uomini. La sequenza dei titoli di testa è, in questo senso, già illuminante: un incidente stradale ha visto coinvolte più automobili; i poliziotti sorvegliano e registrano l'accaduto; non intervengono. Di passaggio, Sonny accosta, non chiede il permesso, si introduce nell'abitacolo dove due giovani sono in fin di vita, ed inizia - scacciando a pedate un agente - uno dei numerosi sermoni o pseudo tali dei quali poi sarà ricco il film. Doveva intervenire, perché considera il suo, a tutti gli effetti, un aiuto concreto. "Oggi, mamma, abbiamo fatto notizia in paradiso!" e "meglio morire oggi e andare in paradiso che campare cent'anni per l'inferno": questi i suoi commenti all'accaduto, le opinioni di chi ha portato a compimento la propria missione - senza però fare nulla per prolungare l'esistenza terrena dei due sventurati - ma, non ultimo, ha fatto qualcosa anche per sé.
Una delle inquadrature seguenti - peraltro assai estemporanea - mostra la ragazza che prima, nella macchina, appariva spacciata, muovere d'improvviso una mano: coincidenza o merito dell'intercessione di Sonny? Una domanda che, con tale operazione, Duvall lascia in sospeso, un po' come il suo protagonista: un uomo a metà tra fede autosuggestione e fanatismo. E ancora: fuori città, Sonny è svegliato di soprassalto da quello che legge come un diretto messaggio di Gesù, intenzionato ad informarlo di una scappatella della moglie. Precipitatosi a casa, trova tutte le conferme necessarie; ancora una combinazione? Nulla vieta di escluderlo, anche se l'ottica "divina" di Sonny non è, naturalmente, l'unica accettabile. Si tratta di due episodi a prima vista quasi marginali, ma la duplice chiave interpretativa (diciamo laica e religiosa), resa possibile da questa ricercata sospensione del senso, serve a svelare le intenzioni di Duvall, rievocando l'antico tema del conflitto tra forza della fede e fiducia nella ragione; o meglio: tra realtà e percezione della stessa. Per farlo è stata scelta la vicenda di un solo uomo, per giunta un predicatore. Non ne esce un ritratto monocorde e scontato della religiosità, ma uno più sfuggente, e in ciò più vero, che ne ribadisce ancora una volta il mistero: si può credere solo in ciò di cui non vi sono e mai vi saranno prove chiaramente tangibili; altrimenti parleremmo di conoscenza.
La meta dell'interprete di APOCALIPSE NOW e IL PADRINO non è sostenere con il film lo stesso credo del proprio protagonista. Ciò che più lo attrae è indagare nelle contraddizioni di una personalità in cui l'incondizionata devozione a Gesù, per quanto intrinsecamente sincera, appare man mano sempre più assumere i tratti di quell'appiglio che lo stesso Sonny dichiara di cercare, per resistere ad un privato antitetico ai successi in campo professionale. E infatti l'entusiasmo manifestato tra i fedeli è il lui così trascinante - e, in quest'ottica, sospetto - da sottolineare, per scarto, tutti i freni di un carattere le cui debolezze sono più forti dei buoni propositi (scoperta la moglie fedifraga, l'istinto lo spinge ad impugnare una pistola; solo dopo ripete a se stesso il quinto comandamento).
Nell'osservare Sonny all'opera nel corso di una tournee religiosa ci è capitato di pensare (anche se il paragone è un po' forte) al Michael Douglas di WALL STREET se non proprio al sergente che domina la prima mezzora di FULL METAL JACKET: uomini senza incertezze, con uno scopo solo e la convinzione di raggiungerlo. Predicare è da sempre il lavoro di Eullis Dewey (l'unico flashback del film ce lo mostra giovanissimo e già impegnato in uno dei suoi coreografici show, lo stesso che poi replicherà nel pre-finale), per cui lì nulla può fermarlo. Gesù, poi, è come fosse l'amico del cuore, cui dare e chiedere, e con il quale è giusto infuriarsi quando il rapporto non è reciproco. Mentre la m.d.p. lo inquadra dall'esterno - efficace Duvall, in uno dei rari scarti rispetto allo stile pressoché documentaristico, ad isolarlo con la sola finestra illuminata nella notte - Sonny litiga letteralmente proprio col Messia, reo a suo avviso di un'immeritata punizione (è stato cacciato dalla chiesa per intemperanze e la moglie intende lasciarlo), ingiustificata a fronte di tutto l'amore dimostratogli. Sonny è un ottimista, desidera e crede in un sistema di valori chiari e di relazioni immediate: Dio ha creato gli uomini e questi devono servirlo ed essergli fedeli; Dio, anche se non se ne possono sempre comprendere i modi, sarà giusto coi giusti. Ma quando la sfera in questione è quella terrena nulla è più così diretto - o in un certo senso rassicurante - e l'omicidio del rivale in amore è per lui il momento più basso di una vita privata che non può essere assolutamente contenuta. Qui la frattura tra uomo e predicatore diventa insanabile, ed inizia il percorso "apostolico" di Sonny, nella speranza che la legge di Dio possa salvarlo da quella degli uomini.
Se l'apostolo è chi dedica la propria esistenza all'evangelizzazione del mondo, autobattezzandosi nelle acque di un fiume, Sonny - seppur al culmine di un atteggiamento pressoché solipsistico - porta a compimento i dettami della Chiesa Pentecostale cui già apparteneva, recuperando in pieno lo slancio apostolico alla discesa dello Spirito Santo. Sceglie il quasi anonimato (si fa chiamare enigmaticamente E.F.) perché vorrebbe apparire esclusivamente in quanto uomo di Dio. Interessante - poiché ambiguo - è tuttavia come tale auto-"investitura" coincida per il predicatore con l'urgenza di una fuga dall'ormai incrinato versante secolare della propria esistenza.
E' questa la ragione per cui Duvall, prima di affrontare la conclusione, approfondisce al massimo le contraddizioni fin qui messe in luce. E.F. si convince che Gesù sia tornato dalla sua parte: subito incontra un uomo, il cui cugino lo aiuterà a fondare "One Way Road to Heaven", la sua chiesa di La Bayou Boutté in Louisiana. E presentandosi dirà: "Mi creda o no, è il Signore che mi ha mandato da lei". La chiesa prende presto piede e lui diventa popolarissimo. Tutto però accade con incredibile facilità, troppo in fretta, ed anche Sonny sa - come dimostra la confessione fatta ad un amico - che il giorno del giudizio terreno non è poi così lontano. Ma è proprio in coincidenza del momento più vile del suo percorso umano (è in fuga dopo aver vigliaccamente tolto la vita ad un altro uomo) che riesce a conseguire i risultati più incredibili della sua missione evangelizzatrice. E il personaggio del provocatore razzista è, non a caso, protagonista di un episodio volutamente ai limiti del ridicolo: giunge alla chiesa intenzionato ad abbatterla con una ruspa; E.F. gli si oppone e nel giro di pochi minuti riesce addirittura a convertirlo. Un potere di persuasione eccessivo, paradossale, specie perché in mano allo stesso uomo che pochissime inquadrature prima abbiamo sentito chiedere "come me la sto cavando?" alla donna che intende sedurre. Un potere che però non basta ad astrarlo dalle responsabilità terrene; ed anche l'aggravarsi delle condizioni della madre non fa che ricordargliele.
Sono questi solo alcuni dei segnali che preparano un finale non consolatorio e spogliato di ogni scontato crescendo. Un poliziotto raggiunge E.F. durante la funzione, ma non scattano né manette né inseguimenti. Lo lascia fare, quasi fossero le volontà senza futuro di un condannato, e per qualche istante sembra di respirare la stessa atmosfera che pervade il finale senza odio di PAT GARRETT E BILLY THE KID di Sam Peckinpah. Senza tradire se stesso e la missione che si è assegnato, l'Apostolo porta ancora una volta il messaggio di Dio ad un ragazzo, anche se non sarà questo a salvarlo: "io andrò in prigione e tu in paradiso".


Voto: 27/30

Andrea DE CANDIDO
01 - 09 - 01


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